IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 648 del 213, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Edwards Lifesciences Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. avv. Salvatore Zilno e dall'avv. Claudia Molino, con domicilio eletto presso lo studio del primo difensore in Palermo, via Francesco Paolo Di Blasi n. 16; Contro l'Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Stefano Polizzotto, con domicilio eletto presso lo studio del predetto difensore in Palermo, vis Nunzio Morello n. 40; Nei confronti di CODAN s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; Per l'annullamento: quanto al ricorso introduttivo della comunicazione in data 7 marzo 2013 plot, n. 12782, a firma del Capo Settore Provveditorato ed Economato, con la quale e stato reso noto alla ricorrente che: a) in ordine alla domanda di accesso agli atti della procedura aperta per la fornitura quinquennale di dispositivi medici e materiali per chirurgia «Si provvedera' alla stessa successivamente alla adozione del provvedimento di approvazione degli atti di gara e conseguente aggiudicazione definitiva»; b) la Commissione tecnica si era cosi' pronunciata sulla domanda di riammissione in gara presentata dalla ricorrente «linea paziente di almeno almeno 120 cm a valle del trasduttore con sistema di prelievo a circuito chiusi needle free. La descrizione pertanto non prevedeva nessun riferimento che tale sistema di prelievo needle free fosse separato dalla linea paziente cosi' come offerto dalla Edwards», nonche' per l'annullamento di ogni ulteriore atto della procedura di gara e, in particolare, del disciplinare di gara, del capitolato tecnico, di tutti i verbali di gara, e, segnatamente, quelli in data 8 maggio 2012, 17 dicembre 2012, 19 febbraio 2013, di tutti i verbali della commissione tecnica aventi ad oggetto la verifica di conformita' tecnica dei prodotti offerti dalle ditte partecipanti al lotto n. 19, dei provvedimenti di nomina della commissione di gara e della commissione tecnica, del provvedimento di aggiudicazione provvisoria del lotto 19, ove esistente, del provvedimento di aggiudicazione definitiva del lotto 19, ove esistente; della eventuale richiesta di campionatura inviata, in corso di procedura, dalla Azienda sanitaria alla ditta risultata aggiudicataria del lotto 19; del verbale della commissione tecnica dal quale risulti la valutazione dell'offerta e della campionatura presentata dalla ditta aggiudicataria del lotto 19; della comunicazione in data 19 dicembre 2012, Prot. n. 74294, nonche' di ogni ulteriore atto anteriore, conseguente ovvero comunque coordinato e/o connesso a quelli sopra indicati; quanto al ricorso per motivi aggiunti: oltre agli atti gia' gravati con il ricorso introduttivo; della delibera n. 1698 dell'11 aprile 2013, con la quale l'ASP ha approvato gli atti di gara e l'aggiudicazione definitiva della fornitura; della nota prot. n. 20973 del 23 aprile 2013 della ASP di Trapani, con la quale e' stata comunicata l'intervenuta approvazione degli atti di gara e l'aggiudicazione definitiva; Visti il ricorso introduttivo e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, con le relative deduzioni difensive; Vista l'ordinanza collegiale n. 803 del 10 aprile 2013; Visti il ricorso per motivi aggiunti e i relativi allegati; Viste le deduzioni difensive depositate dalle parti costituite; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il primo referendario dott. Maria Cappellano; Uditi alla pubblica udienza del giorno 24 ottobre 2013 i difensori delle parti costituite, presenti come specificato nel verbale; Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. In Fatto 1. - Con ricorso notificato il 22-25 marzo 2013 e depositato il 28 marzo seguente, la societa' ricorrente ha impugnato gli atti in epigrafe indicati relativi alla gara, indetta dall'Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani, per la fornitura in somministrazione continuata per anni cinque di Presidi sanitari specialistici per «Anestesia e Rianimazione» e «Terapia del dolore» occorrente al Bacino della Sicilia Occidentale, suddivisa in 245 lotti per il Gruppo A e in 23 lotti per il Gruppo B, censurando la sua esclusione dal lotto n. 19; la predetta ha altresi' impugnato la determinazione della stazione appaltante, di differire l'accesso agli atti di gara successivamente alla aggiudicazione definitiva. Espone: di avere partecipato al lotto n. 19, del valore complessivo a base d'asta di € 2.749.100,00, avente ad oggetto la fornitura per ogni anno di n. 8820 set per monitoraggio pressorio invasivo ad una via (sub lotto a) e di n. 6410 set per monitoraggio pressorio invasivo a due vie (sub lotto b); e di avere, su espressa richiesta, fornito la relativa campionatura per l'esame da parte della commissione tecnica appositamente costituita; di avere presentato, a seguito del provvedimento di esclusione, una richiesta di riesame e di conseguente riammissione alla gara, seguita dalla conferma, con diversa motivazione, dell'esclusione dalla gara stessa. Precisa, altresi', di avere inoltrato istanza di accesso agli atti di gara, il cui accoglimento e' stato differito alla definizione della procedura con l'aggiudicazione definitiva. Si duole degli atti impugnati, affidando il ricorso alle censure di: 1) Incompetenza. Violazione e falsa applicazione delle norme dettate dal capitolato tecnico di gara ed in particolare dall'art. 14. Eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di motivazione, travisamento, carenza di istruttoria, violazione del principio di collegialita'; 2) Violazione e falsa applicazione delle regole dettate dal capitolato tecnico. Eccesso di potere per travisamento, errore nei presupposti, carenza di adeguata istruttoria, difetto assoluto di motivazione, Sviamento; 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 e dell'art. 79 del decreto legislativo n. 163/2006, in combinata disposto con i principi di cui alla legge n. 241/1990. Eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento, difetto di motivazione e carenza di istruttoria. Ha, quindi, chiesto l'annullamento della propria esclusione, e la conseguente riammissione alla gara, nella quale risulterebbe aggiudicataria provvisoria in base al ribasso offerto, chiedendo contestualmente la pronuncia di questo Tribunale sulla istanza di accesso. 2. - Si e' costituita in giudizio l'Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani (d'ora in poi «Azienda»), depositando documentazione e chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato. 3. - Con ordinanza collegiale n. 803 del 10 aprile 2013 e' stata in parte respinta l'istanza istruttoria presentata in seno al ricorso introduttivo; per il resto, si e' dato atto dell'avvenuto deposito, da parte della resistente amministrazione, della documentazione immediatamente ostensibile. 4. - Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 30 aprile 2013 e depositato il 9 maggio seguente, la ricorrente ha impugnato i medesimi atti gia' gravati con il ricorso introduttivo, censurando anche la deliberazione di aggiudicazione definitiva di numerosi lotti, per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione della lex specialis della gara. Eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento, difetto di istruttoria, omessa motivazione; 2) violazione e falsa applicazione delle regole dettate dalla lex specialis della procedura. Eccesso di potere per disparita' di trattamento, difetto di istruttoria e adeguata motivazione, contraddittorieta'; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 81 e segg. del decreto legislativo n. 163/2006, nonche' dei principi in materia di operazioni di gara. Eccesso di potere per errore nei presupposti, carenza di potere, incompetenza, difetto di istruttoria e di adeguata motivazione. Ha quindi chiesto raccoglimento del complessivo gravame, previa adozione di una idonea misura cautelare. 5. - Con memoria difensiva la resistente Azienda ha avversato il gravame aggiuntivo, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' dell'impugnazione avverso la determinazione di aggiudicazione definitiva, in quanto espressamente non riferita al lotto in contestazione, rimasto sospeso. 6. - Alla camera di consiglio del giorno 23 maggio 2013 la trattazione della causa e' stata rinviata al merito. 7. - In vista della discussione del ricorso nel merito le parti hanno argomentato sulla questione della nullita' del bando di gara, per mancato inserimento delle disposizioni contenute nell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale n. 15 del 2008; insistendo, per il resto e quanto al merito della controversia, nelle rispettive posizioni e conclusioni. 8. - Alla pubblica udienza del giorno 24 ottobre 2013, presenti i difensori delle parti costituite, come da verbale, il Presidente del Collegio ha dato atto, ai sensi dell'art. 73, comma 3, cod. proc. amm., della questione, rilevata d'ufficio, della eventuale illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale n. 15 del 2008; quindi, il ricorso e' stato posto in decisione. In Diritto 1. - Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'alt 117, secondo comma, lettere h) e l), art. 3, secondo comma, e art. 97, primo comma, della Costituzione, e, limitatamente all'art. 2, secondo comma, della n. 15 del 2008, in riferimento all'art. 27, secondo comma, della Costituzione. Il bando della gara per la quale e' controversia non reca le clausole previste, a pena di nullita', dall'art. 2, primo e secondo comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, secondo cui: 1. Per gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro, i bandi di gara prevedono, pena la nullita' dei bando, l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto. L'aggiudicatario si avvale di tale conto corrente per tutte le operazioni relative all'appalto, compresi i pagamenti delle retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente a mezzo di bonifico bancario, bonifico postale o assegno circolare non trasferibile. Il mancato rispetto dell'obbligo di cui al presente comma comparta la risoluzione per inadempimento contrattuale. 2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli stessi, la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei diligenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata. La giurisprudenza di questo Tribunale (sede e sezione staccata) e del Giudice d'appello territoriale (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana) si e' fatta carico dell'accertata carenza di quelle previsioni ed e' pervenuta ad alcune conclusioni in grande prevalenza del tutto univoche. Esse riguardano: a) il pieno titolo dell'organo giurisdizionale adito a rilevare, d'ufficio la nullita' del bando, in applicazione del precetto contenuto nell'art. 31, quarto comma, secondo periodo, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), peculiarmente in materia attribuita, ex art. 133, primo comma, lettera e), del medesimo testo normativo, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 27 luglio 2012, n. 721, richiamata dall'ordinanza, resa dal medesimo organo giurisdizionale in sede di appello cautelare 16 ottobre 2013, n. 786; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, sentenza 20 maggio 2013, n. 1441); b) la sostanziale applicabilita' a tutti gli appalti pubblici, non solo cioe' a quelli relativi alla materia dei lavori pubblici, riservata alla legislazione esclusiva della Regione ai sensi dell'art. 14, lettera g) del decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante lo Statuto della Regione Siciliana (approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2): un indirizzo tanto consolidato, da costituire «diritto vivente» a livello regionale., ha ritenuto che anche gli appalti di servizi e forniture di importo superiore ai 100.000,00 curo dovessero rispettare, nel difficile contesto dell'Isola, la speciale disciplina in tema di tracciabilita' dei flussi finanziari e di' tutela avanzata nei confronti dei reati di criminalita' organizzata, come stabilita nei commi primo e secondo dell'art. 2 della citata legge regionale n. 15 del 2008 (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza n. 721/2012 cit.; ordinanza n. 786/2013 cit.; T.A.R. Sicilia, sez. ILI, sentenza 19 dicembre 2011, n. 2406; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, ord. 11 luglio 2013, n. 646). Tale indirizzo appare, peraltro, coerente con il chiaro tenore letterale della disposizione regionale, la quale fa riferimento, con formulazione volutamente ampia, agli «appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro». Da cio', la collocazione della norma regionale all'interno di un corpus normativo - legge regionale n. 15 del 2008 - contenente «Misure di contrasto alla criminalita' organizzata», a fronte dell'iniziale previsto inserimento, nel disegno di legge presentato all'Assemblea Regionale Siciliana, quale collima aggiunto all'art. 19 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (come introdotta dalla legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 e successive modifiche), disciplinante solo gli appalti di lavori pubblici. In ragione di quanto esposto, questo Tribunale, nel doveroso esercizio del potere-dovere di rilevare la nullita', dovrebbe procedere alla declaratoria della nullita' del bando pure impugnato in questa sede e, comunque, costituente la lex specialis della gara per cui e' controversia. Va, inoltre, aggiunto che la parte ricorrente, nella memoria depositata in vista della trattazione del ricorso nel merito, ha espressamente chiesto la declaratoria di nullita' del bando di gara proprio in applicazione della norma regionale, della cui legittimita' costituzionale si dubita. Ne' la nullita' del bando di gara, come disegnata dal legislatore regionale, potrebbe configurarsi come solo parziale, piuttosto che totale, con conseguente ipotizzata applicabilita' del meccanismo dell'inserzione automatica di clausole, di cui all'art. 1339 cod. civ. (ove applicabile anche all'atto amministrativo recante la lex specialis di una gara d'appalto), atteso che, ad avviso del Collegio, siffatta configurazione esegetica travalicherebbe i limiti di compatibilita' con il tenore letterale della legge regionale, che un interprete - alieno dal sostituirsi al legislatore - e' tenuto a osservare. La norma regionale, infatti, non reca una mera sanzione di generica nullita', e neppure di «nullita' assoluta» (come, per esempio, si legge invece nell'ottavo comma del citato art. 3 della legge statale n. 136 del 2010); bensi' una precisa sanzione di «nullita' del bando». Il Giudice di seconde cure (C.G.A., ord. n. 786/2013 cit.) ha ritenuto, con argomentazioni condivisibili, che non si possono avere dubbi sul fatto che il legislatore regionale abbia inteso sanzionare con la nullita' del bando (vale a dire di tutto il bando, ossia del bando nella sua interezza) la violazione, da parte della stazione appaltante, del precetto posto dall'art. 2, primo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008. Stesse considerazioni valgono, altresi', per l'ipotesi di nullita' prevista a sanzione del mancato rispetto del precetto di cui al secondo comma della stessa norma regionale. La scelta e' frutto della valutazione, da ritenere evidentemente consapevole, del legislatore regionale: il che impedisce di ipotizzare nullita' parziale dei bandi, con meccanismi di eterointegrazione delle singole lex specialis ai sensi del gia' ricordato art. 1339 cod. civ. (e conseguente salvezza dell'atto di indizione della gara). Tanto vale a rendere rilevante, ai fini della decisione del ricorso nel merito, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale n. 15 del 2008, che si solleva con la presente ordinanza per le ragioni di non manifesta infondatezza in prosieguo esposte. 2. - Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l), art. 3, secondo comma, e art. 97, primo comma, della Costituzione, nonche', del secondo comma del ridetto art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, in riferimento all'art. 27, secondo comma, della Costituzione. 2.1. - Sul primo comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15. Questo Tribunale dubita della legittimita'. costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 2, primo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l), della Costituzione. 2.1.1. - Per quanto attiene al primo parametro costituzionale - art. 117, secondo comma, lettera h) - deve premettersi che, in virtu' dell'art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136 e' stata introdotta una disciplina statale sulla tracciabilita' dei flussi finanziari, caratterizzata da previsioni in parte divergenti e, comunque, non del tutto coincidenti con quelle contenute nell'art. 2, primo comma, della su citata legge regionale n. 15 del 2008. Le differenze possono essere cosi' sintetizzate: per il legislatore statale, la carenza di previsioni sulla tracciabilita' dei flussi finanziari non determina alcuna nullita' a monte della procedura ad evidenza pubblica - cioe' alcuna sanzione sul bando di gara - ma solo a valle della stessa, nei contratti sottoscritti con gli appaltatori (art. 3, ottavo comma, legge n. 136 del 2010); la legge regionale n. 15 del 2008, invece, sanziona di nullita' il bando, il quale non contenga le previsioni di cui al primo (oltre che al secondo) comma, del menzionato art. 2 della legge regionale; nella norma statale non sono fissati limiti di importo per la tracciabilita' dei flussi finanziari; invece, nella disposizione regionale la soggezione alla peculiare disciplina opera per gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro; l'art. 3, primo comma, della legge n. 136 del 2010 consente l'utilizzo di uno o piu' conti correnti bancari o postali; il precetto regionale, per contro, impone agli aggiudicatari di far confluire tutte le somme relative all'appalto in un conto corrente unico; il comma 9-bis del citato art. 3 della legge n. 136 del 2010 consente il pagamento dei debiti dell'aggiudicatario con mezzi diversi dal bonifico bancario o postale, purche' quegli altri strumenti siano idonei a consentire la piena tracciabilita' delle operazioni; la legge regionale in esame esclude, invece, in modo esplicito pagamenti non effettuati con bonifico postale o con assegno circolare non trasferibile; l'ottavo comma dell'art. 3 della legge n. 136 del 2010 impone, a pena di nullita' assoluta, l'inserzione nel contratto con l'aggiudicatario di una apposita clausola con la quale si assumono gli obblighi di tracciabilita', con l'effetto di rendere l'inqualificazione giuridica derivante da norma imperativa quale esito dell'aperto contrasto con interessi generali (peraltro espressione di valori costituzionali), si' da impedire qualsivoglia vicenda conservativa per il tramite dello strumento automatico della conversione; la legge regionale prevede che il mancato rispetto dell'obbligo dell'indicazione del conto corrente unico comporta la risoluzione per inadempimento contrattuale, fattispecie, alla quale - a prescindere dalla sua conformita' costituzionale come si esporra' nel prosieguo - puo' essere equiparata la disciplina contenuta nel citato comma 9-bis dell'art. 3 della legge n. 136 del 2010. Risulta evidente da quanto appena esposto come non possa affermarsi una piena compatibilita' tra il primo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008 e l'art. 3 della legge n. 136 del 2010 in ragione dell'ambito applicativo, dei contenuti e delle modalita' operative. Le discrasie appena individuate non sono superate dall'affermazione, secondo la quale il precetto regionale si inquadrerebbe nell'alveo della legislazione esclusiva in tema di «lavori pubblici» riconosciuta e garantita dal citato art. 14, lettera g) dello Statuto della Regione Siciliana (argomento fatto proprio da T.A.R. Sicilia, Catania, 20 maggio 2013, n. 1441; nonche', da C.G.A., ord. 26 settembre 2013, n. 786, gia' citate). Proprio avuto riguardo a tale specifico profilo, il Collegio dubita della legittimita' costituzionale della norma regionale in commento, tenuto conto dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 35 del 2012. Con quella pronuncia: si a' qualificata la legislazione statale sulla tracciabilita' dei flussi finanziari, contenuta nell'art. 3 della legge n. 136 del 2010, come materia dell'ordine pubblico e sicurezza, in. quanto tale, sottratta alla competenza legislativa delle Regioni ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), della Carta fondamentale; si e' ritenuto altresi' che detta norma statale sia stata emanata per garantire la tracciabilita' dei flussi finanziari finalizzata a prevenire infiltrazioni criminali nel settore degli appalti pubblici. Ad avviso del Tribunale, la circostanza che la disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima fosse di una regione a statuto ordinario (nel caso di specie, la Regione Calabria) non altera le conclusioni raggiungibili anche nei riguardi della su indicata norma della Regione Siciliana. Cio' per la fondamentale ragione che la ritenuta appartenenza della legislazione sulla tracciabilita' dei flussi alla prevenzione in materia di ordine pubblico e sicurezza non puo' modificarsi a seconda dell'ambito territoriale nel quale si venga ad operare; sicche', gia' sotto questo riguardo, si ravvisano ragioni per rimettere la questione al Giudice delle leggi. Ne', tanto meno, puo' configurarsi una peculiare specialita' della causa che modificherebbe, per la tipicita' della prevenzione relativa ai fenomeni mafiosi, l'appartenenza della materia a quella per dir cosi' allargata dei «lavori pubblici» in sede regionale, anziche' all'ordine pubblico e sicurezza con estensione nazionale. Giova, invero, sottolineare che, pur se con origini prevalentemente insulari, le metodiche e le pratiche connesse a quei fenomeni sono estese e gestite su tutto il territorio nazionale, cosi' che risulta ben difficile, allo stato delle cose, formulare un'ipotesi normativa esclusivamente orientata al quadro regionale, il quale presenta, di sicuro, una maggiore intensita', ma non certo l'esclusivita' rispetto al citato fenomeno. Al di fuori delle notazioni per dir cosi' sociologiche, e' comunque evidente che la normativa antimafia, come codificata nel decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, appartiene quasi per definizione alla legislazione statale esclusiva. Ed e' nel codice antimafia che puo' rinvenirsi la prova ulteriore della non confluenza in diversa materia, laddove si stabilisce che «il prefetto puo', altresi', desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da.... nonche' dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilita' dei flussi finanziari di cui all'art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'art. 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'art. 92, rilascia l'informazione antimafia interdittiva» (art. 91, sesto comma, decreto legislativo n. 159 del 2011). Il precetto statale assume particolare rilievo non solo perche' assegna la tematica della tracciabilita' dei flussi finanziari a misure sanzionatorie specifiche (confermando, di conseguenza, la riferibilita' della disciplina alla legislazione sull'ordine e la pubblica sicurezza), ma anche per il riaffermato ricorso, per scopi di prevenzione, alla norma statale contenuta nell'art. 3 della citata legge n. 136 del 2010. A quest'ultima disposizione e', dunque, demandata, con carattere di esclusivita', la funzione di tutela nel delicato campo del controllo dei movimenti del numerarlo dei soggetti pubblici. Tali essendo le conclusioni raggiunte, ritiene il Collegio di doversi altresi' misurare con il «diritto vivente» che scaturisce dai differenti, e per certi aspetti opposti, tentativi di consentire una lettura «costituzionalmente orientata» della norma regionale. Si fa qui riferimento: da un lato all'orientamento espresso da questa stessa sede di Palermo del T.A.R. Sicilia con le sentenze rispettivamente della sez. III, 28 febbraio 2013, n. 468 e della sez. II, 26 marzo 2013, n. 725, secondo cui la norma regionale sarebbe stata tacitamente abrogata per effetto dell'entrata in vigore della sopravvenuta norma statale (merce' il meccanismo di cui all'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, secondo cui la legge statale emanata successivamente a quella regionale, che abbia regolato il medesimo oggetto, ha effetto abrogativo della preesistente legislazione regionale nel caso in cui la norma statale sopravvenuta ponga principi diversi da quelli cui la precedente disciplina era ispirata); dall'altro, all'orientamento, per certi aspetti di segno opposto, espresso dal giudice di appello (C.G.A. Sent. 721/2011 cit., confermato ancora di recente in sede cautelare giusta ordinanza n. 786 del 16 ottobre 2013) secondo cui le norme in argomento risultano perfettamente sovrapponibili, non manifestando quella incompatibilita' assoluta, che e' presupposto indispensabile per eventualmente predicare la sopravvenuta abrogazione implicita di una norma preesistente; con conseguente vigenza di entrambe le previsioni di legge (nazionale e regionale) da applicare rispettivamente, secondo il giudice di appello, in funzione dell'importo del singolo appalto (quella nazionale gli appalti al di sotto dei 100.000 euro; quella regionale per gli appalti di importo superiore). La condivisibile valorizzazione della sovrapponibilita' delle due norme, ampiamente motivata dal giudice di appello con l'ordinanza n. 786/2013, osta alla riconferma in questa sede dell'orientamento (di abrogazione implicita) gia' espresso da questo stesso Tribunale. Anche nel caso in esame l'interprete deve invero confrontarsi, per un verso, con una normativa statale - art. 3 della legge n. 136 del 2010 - emanata nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza; per altro verso, con una normativa regionale - art. 2, primo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008 - che, secondo il diritto vivente sopra citato, e' stata emanata nell'esercizio di una potesta' legislativa regionale esclusiva (in materia di appalti di lavori); laddove, invece, la stessa disposizione regionale, per le chiare ed univoche indicazioni che promanano dalla seder materiae in cui e' inserita, per la finalita' che persegue e per l'oggetto materiale su cui impatta - nonche' per lo strumento normativo impiegato (cfr. Cort. cost. 35/2012) - gravita senza dubbio nell'ambito di una materia (la sicurezza e l'ordine pubblico) che e' certamente di competenza esclusiva statale ancor prima (e potremmo dire a prescindere) dall'avvenuto o meno esercizio legislativo da parte del Parlamento nazionale. Ne' risulterebbe utile, nel rinnovato tentativo che incombe sull'interprete di percorrere tutte le opzioni per una lettura costituzionalmente orientata della norma prima di adire il Giudice delle leggi, il richiamo alla cd. clausola di cedevolezza desumibile dall'art. 1, primo comma, della legge n. 131 del 2003: non solo in quanto detta disposizione fa espressamente riferimento alle «disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore» della stessa legge n. 131 del 2003; ma soprattutto, in quanto l'applicazione di detta clausola e' tendenzialmente riservata all'ambito delle materie a competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), in quanto funzionale a regolare la successione, nel tempo, fra norme di principio statali e norme di dettaglio regionali. Il che e' da escludere nel caso di specie, attesa la qualificazione giuridica che la stessa Corte costituzionale ha gia' chiaramente ed univocamente attribuito alla materia afferente ai controlli dei flussi finanziari. Sempre nell'ulteriore sforzo ermeneutico di addivenire ad una lettura costituzionalmente orientata della norma regionale, ritiene il collegio di non potere neppure percorrere la strada, pure tracciata dal Giudice siciliano di appello nella citata ordinanza n. 786/2013, circa l'asserita sussistenza di un rapporto di specialita' tra legge statale e legge regionale. Secondo tale ricostruzione, in Sicilia opererebbe la legge statale n. 136 del 2010 in tutti gli appalti di importo non superiore a € 100.000,00, per via del «doppio recepimento» (della legge nazionale sugli appalti che a sua volta richiama la normativa antimafia); di contro, per gli appalti di importo superiore ai 100.000,00 euro, «per il ricordato principio di specialita', e' giocoforza affermare che debba trovare applicazione (solo) comma 1 della citata legge regionale» (cfr. ordinanza n. 786/2013 citata). Ed invero, in primo luogo, non sembra in via di principio condivisibile l'idea che una norma statale espressamente dedicata, con strumenti di controllo tipici dell'attivita' di prevenzione, alla tutela e al contrasto di reati anche di tipo mafioso abbia dovuto sottoporsi a un duplice recepimento per operare nella Regione a Statuto speciale. Il primo comma dell'art. 247 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e' - al pari di altre norme sparse nel Codice dei Contratti Pubblici - una disposizione pleonastica, che non puo' fungere certo da valvola di scambio per la ricezione della disciplina ivi ricordata, attesa la piena capacita' di quest'ultima di operare indipendentemente da qualsivoglia «autorizzazione» da parte di altri testi normativi. Si tratta cioe' di norma-promemoria, valida quale memento, ma priva di ogni innovativita': sicche', fare scaturire da quel precetto, e dalla ricezione del codice dei contratti pubblici disposta con legge della Regione Siciliana 12 luglio 2011, n. 12, l'operativita' del citato art. 3 della legge n. 136 del 2010 non appare al Collegio una valutazione ermeneutica condivisibile. In secondo luogo, va sottolineato che i fatti normati, proprio per le distinzioni su rammentate, non possono essere sussunti in un'unica piattaforma, nella quale alla legge regionale e' assicurata la priorita' specifica. Cio' equivarrebbe ad affermare che l'art. 3 della legge n. 136 del 2010 opera in Sicilia come norma cedevole, creando evidentemente una irragionevole antinomia tra appalti ai quali si applica il precetto regionale, e quelli (di importo inferiore ai 100.000,00 euro) disciplinati dal precetto statale. E', inoltre, logico dedurne, a questa stregua, che, se le due disposizioni si applicano in contesti finitimi, piu' che di specialita' occorrerebbe parlare di ambiti normativi complementari. L'applicazione del criterio di specialita' implica l'appartenenza delle disposizioni correlate ad una materia unitaria, nella quale possa operare una priorita' escludente rispetto a fattispecie astrattamente assoggettabili ad identico precetto. Deve ritenersi, cioe', che dette norme abbiano la medesima ratio, sottendano la medesima voluntas lesis e partecipino della stessa materia: materia che, in relazione all'art. 3 della legge n. 136 del 2010, e' stata gia' chiaramente individuata dalla Corte costituzionale con la menzionata sentenza n. 35 del 2012. Anche a voler considerare solo «parziale» il rapporto di specialita' individuato nella su citata ordinanza del C.G.A. n. 786/2013 tra la norma regionale e quella statale, si addiverrebbe al risultato, non condivisibile, che l'interesse primario di contrasto alla criminalita' - di competenza esclusiva statale anche sub specie di tracciabilita' dei flussi finanziari intesa come mezzo per il perseguimento di politiche specifiche di ordine e sicurezza pubblici - valga solo per gli appalti sotto i 100.000,00 euro, per trasformarsi, al di sopra di detta soglia, nel recessivo interesse (di competenza regionale) alla trasparenza nei pubblici appalti e al buon funzionamento degli uffici (ivi comprese le stazioni appaltanti). In ogni caso si determina, anche solo potenzialmente, una interferenza con una materia sicuramente di competenza dello Stato, come chiarito dalla Corte costituzionale (v. sentenza n. 35/2012). Non e' infatti in discussione la legittimita' di possibili interventi normativi, anche in ambito regionale, preposti alla promozione della legalita' in quanto tesa alla diffusione dei valori di civilta' e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica: cio' in quanto, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sent. 35/2012 cit.) la promozione della legalita' «non e' attribuzione monopolistica, ne' puo' divenire oggetto di contesa tra i distinti livelli di legislazione e di governo: e' tuttavia necessario che misure predisposte a tale scopo nell'esercizio di una competenza propria della Regione, per esempio nell'ambito dell'organizzazione degli uffici regionali, non costituiscano strumenti di politica criminale, ne', in ogni caso, generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati (sentenza n. 55 del 2001; da ultimo, sentenza n. 325 del 2011)». E la stessa Regione Siciliana ha predisposto tali misure, con l'adozione, sul piano interno proprio alla pubblica amministrazione, del c.d. Codice Vigna («Codice antimafia e anticorruzione della pubblica amministrazione»), richiamato anche dall'art. 15 della L.R.S. n. 5 del 2011; nonche' con l'atto di indirizzo pubblicato in G.U.R.S. 30 dicembre 2011, n. 54. Ad avviso del Collegio la disposizione di cui all'art. 2, primo comma, della legge regionale n. 15/2008 non pare appartenere a tale tipologia di (consentite) misure e, pertanto, esorbita dai limiti individuati dal Giudice delle leggi, invadendo la sfera di competenza legislativa dello Stato. Per tutto quanto finora esposto, e' non manifestamente infondata - oltre che rilevante, per le ragioni sopra spiegate - la questione di legittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione. 2.1.2. - Per quanto attiene al secondo parametro costituzionale - art. 117, secondo comma, lettera D - va considerato che la diversita' tra le due discipline in esame - statale e regionale - non si arresta agli aspetti piu' propriamente pubblicistici con la sanzione della nullita' del bando - rispetto alla quale, e' bene soggiungere, la nullita' del contratto prevista dalla legge statale, si palesa come previsione di maggiore ragionevolezza e proporzionalita' - ma incide altresi' nell'ambito della disciplina contrattuale vera e propria. Il Collegio ritiene che la risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale prevista nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008 confligga con l'attribuzione all'ordinamento civile che la lettera l) del secondo comma dell'art. 117 Cost. riserva alla legislazione esclusiva statale. Come da ultimo ribadito dalla Corte costituzionale con sentenza 27 giugno 2013, n. 159: «l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. ha codificato il limite del «diritto privato», consolidatosi gia' nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (ex multis: sentente n. 295 del 2009, n. 401 del 2007, n. 190 del 2001, 279 del 1994, e n. 35 del 1992). Questa Corte ha piu' volte affermato che «L'ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i rapporti tra privati. Esso, quindi, identifica un'area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n. 352 del 2001). In particolare, questa Corte ha stabilito che la disciplina dei rapporti contrattuali (artt. 1321 e seguenti del codice civile) va riservata alla legislazione statale (sentenze n. 411 e n. 29 del 2006).». Le affermazioni appena trascritte trovano, ad avviso del Collegio, piana applicazione anche alla disposizione contenuta nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, per l'evidente invasione della competenza esclusiva dello Stato relativamente alla regolazione dei rapporti contrattuali, nei quali si esprime sia il principio di autonomia privata, sia quello di presidio e garanzia di eguaglianza nell'intero territorio nazionale. Il legislatore regionale ha, pertanto, previsto una ipotesi di risoluzione del contratto - utilizzando percio', un istituto giuridico dell'ordinamento civile, incidente sul rapporto - attraverso l'esplicita qualificazione di inadempimento di una determinata condotta tenuta dal contraente in fase di esecuzione del contratto. Sicche', ad avviso del Collegio la norma regionale - seppure per via mediata, attraverso la sanzione della nullita' del bando - finisce sostanzialmente per incidere sul contratto, atteso che la massima sanzione imposta sulla legge di gara non puo' che travolgere tutti gli atti posti in essere a valle e, in ultima analisi, il contratto di appalto. Prima di concludere l'esame del primo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, preme al Collegio precisare che, sebbene la normativa regionale appaia preconitrice rispetto alla successiva normativa nazionale nell'introdurre significative cautele nel delicato settore degli appalti pubblici, la stessa, proprio per la specificita' dello strumento introdotto (tracciabilita' dei flussi finanziari) rispetto alla finalita' di prevenzione delle infiltrazioni criminali, ha, per cio' stesso, invaso una sfera di esclusiva pertinenza del legislatore statale. In definitiva, ritiene questo Tribunale che, per le ragioni addotte - e, in particolare in base ai principi affermati dalla Consulta nella sentenza n. 35/2012 sulla natura della legislazione relativa alla tracciabilita' dei flussi finanziari; nonche', per la violazione della riserva alla competenza statale relativamente all'ordinamento civile - debba essere rimessa al Giudice delle leggi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008 in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 2.1.3. - Venendo allo sviluppo del terzo parametro costituzionale sopra menzionato - art. 3, secondo comma, Cost. qui invocato in via gradata rispetto ai parametri costituzionali gia' richiamati - va rilevato che il legislatore regionale, sebbene possa, nell'esercizio del potere discrezionale, dettare canoni normativi per l'organizzazione dell'attivita' amministrativa del proprio apparato e degli enti sottoposti al proprio controllo (ivi ricomprese quindi anche le stazioni appaltanti), non possa, tuttavia, prescindere dal rispetto del principio di ragionevolezza intrinseca; ne', dall'osservanza del divieto di introdurre meri automatismi non coerenti con lo stesso canone di ragionevolezza, desumibile, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, proprio dall'art. 3, secondo comma, della Carta fondamentale. Con la sentenza n. 87 del 2012 la Corte costituzionale riafferma e ripercorre la giurisprudenza che desume dall'art. 3 Cost. un canone di «razionalita'» della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell'«esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'» (sentenza n. 421 del 1991) ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della stessa (sentenze n. 46 del 1993, n. 81 del 1992) (cfr. relazione sulla Giurisprudenza costituzionale dell'Anno 2012 del Presidente della Corte costituzionale, Riunione Straordinaria della Corte del 12 aprile 2013, pagg. 95 e ss.). Mutuando le considerazioni svolte (ancorche' in riferimento ad altri contesti normativi) dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 166 del 2012), la scelta di introdurre «automatismi» normativi deve costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, soprattutto quando quel meccanismo sia suscettibile di incidere (non solo e non semplicemente sul piano interno dell'attivita' amministrativa, ma anche) sull'affidamento ingenerato all'esterno sulla validita' del bando di gara e sul conseguente contratto sottoscritto dall'aggiudicatario. Il che, ad avviso del Collegio, sembra difettare nella norma in esame, in quanto il legislatore regionale, introducendo un'ipotesi di nullita' automatica e non sanabile del bando di gara, sembra prescindere dalla possibilita' di operare - ove l'intento fosse realmente stato solo quello di approntare quanto necessario per una corretta e trasparente organizzazione del proprio apparato amministrativo, e non anche di incidere su una materia coperta da riserva assoluta di legge statale - sul piano del controllo interno, traslando invece sui terzi gli effetti del mancato rispetto della norma per causa della stessa P.A. (che predispone il bando). 2.1.4. - Per quanto attiene al quarto parametro costituzionale - art. 97, primo comma, Cost. - il Collegio osserva che la norma, cosi come formulata, ancorche' voglia costituire un contributo alla trasparenza e alla correttezza dell'agere publicum, rischia di rappresentare (per l'impossibilita' gia' evidenziata di far ricorso alla etero-integrazione della lex specialis) occasione per la proposizione di variegate e plurime azioni (anche di natura risarcitoria) contro la pubblica amministrazione, esperibili persino da parte di soggetti esclusi dalle gare medesime, che perseguano l'interesse alla declaratoria di nullita' delle stesse, con il travolgimento dei contratti sottoscritti. Tale rischio si e', infatti, dimostrato tutt'altro che meramente potenziale, siccome si e' invece tradotto in concrete azioni proposte per la declaratoria di nullita' dei bandi, con domande formulate anche in via gradita, con conseguenti pronunce di nullita' d'ufficio dei medesimi bandi di gara decretate dal Giudice cui erano state rimesse le questioni di legittimita' dei relativi esiti (cfr. C.G.A. sent. 721/2011 cit. di conferma della sentenza T.A.R. Palermo, Sez. III, n. 2406/2011; il presente giudizio a quo). L'automatismo della sanzione della nullita' del bando, che e' atto amministrativo unilateralmente predisposto dalla P.A., lascerebbe altresi' impregiudicata la strada ad azioni risarcitorie anche da parte degli aggiudicatari incolpevoli; di contro, si osserva che la differente previsione contenuta nell'art. 3 della legge n. 136 del 2010, spostando la sanzione della «nullita'» sull'atto negoziale del contratto, all'evidenza coinvolge e responsabilizza al rispetto della norma citata lo stesso aggiudicatario. Va infine rilevato che la nullita' del bando, per mancato inserimento delle condizioni previste dall'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, non consente alla stazione appaltante di esercitare il tradizionale - e codificato (v. art. 21-nonies legge n. 241 del 1990 come recepito dall'art. 37 della legge Regione Sicilia n. 10 del 1991) potere di «autotutela amministrativa», cui doverosamente sarebbe tenuta in presenza dei necessari presupposti anche nella prospettiva dell'eventuale convalida del provvedimento (annullabile) in presenza di ragioni di pubblico- interesse; ma, al contempo - operando automaticamente ed essendo rilevabile da chiunque - rischia di incidere sullo stesso buon andamento dell'amministrazione, la quale non potrebbe dar seguito alla gara. 3. - Sul secondo comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15. Questo Tribunale dubita della legittimita' costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 2, secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l), all'art. 27, secondo collima, all'art, 3, secondo comma, e all'art. 97 della Costituzione. 3.1. - Per quanto attiene al primo parametro costituzionale - art. 117, secondo comma, lettera h) - la disposizione introduce una causa di nullita' del bando, il quale non preveda la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, stabilendo che «2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli stessi, la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il. legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata.». Si tratta, quindi, di una disposizione che colpisce immediatamente la legge di gara, la quale, in assenza di tale clausola, non e' in grado di condurre la procedura a buon esito, attesa la previsione della sanzione massima, dalla cui applicazione derivano irrecuperabili conseguenze demolitorie. Anche per tale disposizione e' necessario misurarsi con l'orientamento espresso con le gia' citate sentenze rese da questo Tribunale (nn. 468 e 725 del 2013), secondo cui la norma regionale sarebbe stata implicitamente abrogata con il recepimento in Sicilia del Codice dei Contratti, avvenuto con legge regionale n. 12 del 2011 e, per tale via, del recepimento del Codice Antimafia (approvato con il decreto legislativo n. 159 del 2011). Ritiene il collegio che l'art. 2, secondo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008, costituente un unicum nel panorama legislativo, non abbia subito detto fenomeno di' abrogazione implicita, come, del resto, ritenuto dal Giudice siciliano di appello (C.G.A., ordin. n. 786/2013 cit.). Ed invero - rinviando a quanto gia' argomentato in ordine alla superfluita' di qualsivoglia recepimento della normativa antimafia ai fini della applicabilita' in Sicilia - non si riscontra alcuna sovrapposizione tra le norme statali sopravvenute e quella regionale. In primo luogo, la norma regionale contenuta nell'art. 2, secondo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008 prevede un meccanismo piu' rigoroso rispetto alla normativa contenuta nel codice antimafia, statuendo una automatica risoluzione del contratto per il solo fatto che il legale rappresentante, o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria, sia stato rinviato a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata. Di contro, in applicazione dell'art. 94 del Codice Antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011), il previsto recesso dal contratto eventualmente stipulato deve essere preceduto dalla valutazione discrezionale del Prefetto, che, allo scopo, emette una informazione antimafia interdittiva; residuando, peraltro, alla parte pubblica - pur in presenza di quell'atto prefettizio - la facolta' di non procedere al recesso dal contratto nei casi previsti dal terzo comma del citato art. 94 (nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile tempi rapidi). Poiche' la norma regionale ha introdotto un meccanismo molto piu' rigoroso di quello introdotto dalla normativa antimafia - peraltro operando sul piano, antecedente al contratto, della predisposizione dell'atto di indizione della gara - non si rinvengono indizi significativi, dai quali possa desumersi con certezza che tale norma speciale sia stata implicitamente abrogata per effetto del recepimento in Sicilia del Codice dei Contratti (e, per tale via, del rinvio al Codice Antimafia). Va, altresi', considerato che, al pari del primo comma, anche il secondo comma dell'art. 2 della L.R.S n. 15 del 2008 non e' indicato tra le norme che l'art. 32 della L.R.S. 12 luglio 2011, n. 12 considera abrogate in conseguenza del recepimento del codice dei contratti pubblici (operato dalla stessa legge regionale n. 12 del 2011): sicche', anche tenendo conto di tale dato normativo, l'art. 2, secondo comma, e' norma vigente. Va anche evidenziato che, a prescindere da qualche atecnicita' della formulazione, la norma si discosta chiaramente da qualsivoglia altra previsione, nonche' dalla pur estesa casistica sui requisiti generali contenuta, tra l'altro, nell'art. 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ormai recepito nella Regione Siciliana in virtu' della legge regionale n. 12 del 2011. Le diversita' tra la norma in esame e la disciplina recepita sono evidenti: il secondo comma del citato art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008 struttura il (mero) rinvio a giudizio non gia' come semplice requisito - e, quindi come eventuale causa di esclusione dalla gara - bensi' come causa di nullita' del bando per mancanza di clausola risolutiva espressa, pur in assenza di tutte le cautele procedimentali e di coerenza del giudizio che, rispetto alla mera sussistenza del requisito, pone l'ultimo periodo della lettera m-ter) del primo comma dell'art. 38 del decreto legislativo, n. 163 del 2006 relativamente a soggetto non destinatario comunque del rinvio a giudizio; la norma regionale prevede come sanzione la nullita' del bando, mentre la legislazione statale, per la fattispecie piu' vicina individuabile nell'art. 38, primo comma, lettera m-ter), coinvolge problemi di esclusione dalla gara e non gia' di nullita' dell'intera procedura conseguente all'accertata carenza della clausola risolutiva. La norma, cosi' come redatta, appare, pertanto, strutturalmente priva di ogni altra finalita' che ecceda quelle di contrasto alla criminalita' organizzata, ponendosi, in tal modo, in palese contrasto con la riserva della legislazione esclusiva statale in materia ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 3.2. - Per quanto attiene. al secondo parametro costituzionale, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l). Oltre che per gli aspetti differenziali rispetto alla disciplina del codice dei contratti pubblici, la norma in esame si rivela di assai dubbia legittimita' costituzionale sotto un ulteriore profilo: la prescrizione di una specifica causa di risoluzione del contratto non sembra conforme al dettato costituzionale, perche' invasiva della riserva statale in materia di ordinamento civile, secondo le su esposte osservazioni da ritenersi qui integralmente riprodotte (v. punto 2.1.2). 3.3. - Per quanto attiene al terzo parametro costituzionale, contenuto nell'art. 27, secondo comma, Costituzione. La previsione della sanzione, automatica e definitiva, in presenza di un mero rinvio a giudizio sembra confliggere con la presunzione di non colpevolezza, prevista dall'art. 27, secondo comma, della Costituzione (v. C.G.A., orditi. n. 786/2013 cit.), secondo cui «L'imputato non e' considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Il principio e' stato ripreso nell'art. 6, secondo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, a mente del quale «Ogni persona accusata di un reato e' presunta innocente fino a quando la sua colpevole a non sia stata legalmente accertata». Il principio costituzionale di non colpevolezza (fino a definitiva statuizione giurisdizionale) sembra opporsi anche alla incondizionata operativita' di una cosi' incisiva causa di nullita' sulla legge di gara, ponendo l'interesse generale sottostante all'inqualificazione in un contesto temporale, nel quale non ne e' certa la sussistenza (ad esempio per una successiva assoluzione con formula piena). E' ben vero che il legislatore statale ha previsto numerosi temperamenti alla incondizionata operativita' di tale principio, introducendo misure finalizzate ad evitare che il decorso del tempo possa costituire un pericolo per l'accertamento del reato o per l'esecuzione di una sentenza (misure cautelaci personali e reali), o misure special-preventive, formalmente di natura amministrativa, dirette ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi (misure di prevenzione); ma, a tale contemperamento e' addivenuto nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in ambito penale, o nella delicata materia dell'ordine pubblico e sicurezza; e, sovente, con l'introduzione di misure di carattere provvisorio. Nel caso della norma in commento, la non manifesta infondatezza della questione, sotto tale profilo, si apprezza ulteriormente, tenendo conto dell'inscindibile collegamento, creato dalla norma regionale, tra il dato del rinvio a giudizio e la risoluzione automatica del contratto medio tempore stipulato; con conseguente diretta e definitiva incidenza del (mero) rinvio a giudizio sul rapporto negoziale in corso, destinato - pur in presenza della apposita clausola nel presupposto bando di gara - ad essere risolto. Tale definitiva ed automatica conseguenza sul contratto non trova riscontro neppure nella normativa nazionale emanata nel settore degli appalti pubblici, contenuta nell'art. 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006, il cui primo comma, alla lettera c), esclude dalla partecipazione alle gare i (soli) soggetti nei cui confronti e' stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunita' che incidono sulla moralita' professionale; o sentenza di condanna, passata in giudicato, per uno o piu' reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; indicando i titolari di poteri, di cui vanno accertati i predetti precedenti penali. L'analisi di tale costruzione giuridica rende ulteriormente evidente - qualora ve ne fosse bisogno - la reale finalita' della norma regionale, di prevenzione e contrasto di fenomeni di infiltrazioni criminali nel delicato settore degli appalti pubblici; compito riservato dalla Carta Fondamentale esclusivamente al legislatore statale, al quale compete di stabilire il contemperamento tra i principi costituzionali che vengono in rilievo, per mezzo della normativa, penale o para-penale, esclusivamente volta al contrasto della criminalita' (organizzata e non). 3.4. - Venendo al quarto parametro costituzionale - art. 3, secondo comma, Cost. - il Collegio ritiene di poter richiamare in questa sede le considerazioni gia' sopra svolte al punto 2.1.3., cui si rinvia. Appare tuttavia utile aggiungere come, in relazione al secondo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, l'irragionevolezza dell'automatismo introdotto dalla norma si appalesa maggiormente laddove connette la nullita' del bando alla mancata previsione dell'ipotesi di risoluzione del contratto, nei casi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, prescindendo dall'esistenza di informative tipiche ovvero atipiche di competenza dell'autorita' di polizia. 3.5 - Per quanto attiene al quinto parametro costituzionale - art. 97, primo comma, Costituzione - per brevita' di trattazione il Collegio rinvia alle considerazioni gia' svolte in ordine al primo comma (e per il medesimo parametro costituzionale) al precedente punto 2.1.4., che qui si intendono integralmente richiamate. 4. - In conclusione, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che, con la presente ordinanza, viene rimessa alla corte costituzionale in ordine: all'art. 2, primo comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere h) e l), Cost.; art. 3, secondo comma, Cost. e art. 97, primo comma, della Costituzione; all'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere h) e l), Cost.; art. 27, secondo comma, Cost.; art. 3, secondo comma, Cost. e art. 97, primo comma, della Costituzione. Il processo deve, pertanto, essere sospeso, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per ogni conseguente statuizione.